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Il cielo di gennaio

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Enrico Capodaglio

Enrico Capodaglio (Recanati, 1954) ha pubblicato un libro di racconti, 19 Novelle sulla Bellezza (Transeuropa, Ancona 1998) e il romanzo Galleria del Vento (ISTMI, Urbania 2001)

Enrico Capodaglio (Recanati, 1954) has published a book of short stories, 19 Short Stories on Beauty (Transeuropa, Ancona 1998) and a novel, Wind-tunnel (ISTMI, Urbania 2001)

Il cielo di gennaio

Quando Paul vide la mappa del cielo di gennaio si dimenticò un po' della ferita. Era stato operato da poco e la ferita doveva restar viva, la pelle rigenerarsi senza punti. Va be', ma là dov'era, con la ciambella di gomma a levitarlo, non era piacevole.

Sulla mappa è disegnato un monte chiazzato di neve, una barbetta d'abeti e il cielo è nero al margine superiore del foglio e digradato verso il grigio via via che si scende, alonato sui contorni aguzzi e gugliati dei monti. Sulla mappa sono segnati il Sud, l'Est e l'Ovest. Ma l'Ovest è al posto dell'Est, chissà perché, e il Sud al posto del Nord. Puntini bianchi di diametro diverso formicolano nel grigio. Più grandi Betelgeuse e Cane minore, medi Castore e Polluce, piccolissimi gli altri. Solo se accorpati certi puntini meritano un nome: Pleiadi, Athena, Procione. Segmenti sottili li congiungono: in figure aperte, come per i Gemelli, o chiuse, come nel poliedro di Balena, dalla coda zigzagante da spermatozoo. Anche Orione è chiusa in sette lati dentro cui stanno candidi pois.

Vicino ai puntini vi sono scritte: Cancro, Auriga, Toro. Maiuscole, e sono le costellazioni. Minuscole: Wasat, Mebsuta, Iadi, e sono stelle. M44 e M35 stonano un po', forse scoperte da poco, e non c'e più voglia d'inventare dei nomi leggendari, di sfogliare i dizionari di mitologia.

Ecco, pensa Paul, lo stellato è un caos di gas, di luce e materia e solo questi puntini congiunti da segmenti ce ne danno la vera realtà. Un cosmo sproporzionato, smisurato, infinito, indefinito cioè, trova senso su questa mappa.

Mebsuta precipita in un vortice di luce bollente, ma solo dicendo che splende come cinquemilasettecento soli ciò che fa ha un senso; Castore fugge per fatti suoi, finché non si cattura a quarantacinque anni luce da noi. Le stelle che si credono reali sono loro ad essere segni, che vanno tradotti in figure geometriche, i nomi di questo foglio, in misure di magnitudine: lo scopo dell'universo è di chiarirsi in questa mappa.

I segni però devono esistere. Se nessuno li avesse scritti nel cielo questa carta sarebbe uno sgorbio, e poi noi ci offenderemmo. Basta essere sicuri che ci sono. S'aggiustò sulla ciambella: il dolore gli ricordava la ferita aperta, ma anch'essa era solo un segno e persino lui che cercava la posizione migliore, lo capiva una volta che l'aveva trovata e si sentiva abbastanza bene da pensarci. Mentre la realtà sono le parole 'dolore,' 'ferita aperta' che creano il senso di quel getto di nonvivopiu, di quella pozzetta sanguinolenta e umida.

Se invece ci fosse il Gran Comunicatore, le stelle sarebbero più che segni sulle mappe o rune d'un cielo arcaico, ma bocche di fuoco sputate da un crematorio di morte, tanto lontano, per fortuna, da risparmiarci, ma tanto vicino da poterlo studiare. Però sarebbe bello, pensò Paul, che le parole fossero solo fosfeni elettronici sul video, concrezioni d'inchiostro, sciami di fonemi, tracce d'una Presenza vera che è altrove, passata prima di lasciarci il segno.

Allora quei puntini bianchi sulla carta, i segmenti, i nomi minuscoli sul grigio più ballante e lattiginoso verso i monti sarebbero avvisi che attenti, la realtà c'è, è fuori, e che aperta, fenduta è l'atmosfera. Se così fosse, pensò Paul, sarebbe troppo bello, ci sarebbe persino da sperare che la mappa fosse arsa dagli sputi di fuoco delle stelle più vicine, che i libri venissero distrutti col gas, con le fiamme, dal rotolare dei globi, pur di vedere bene com'è fatto il mondo.

Allora però anche il dolore della ferita sarebbe vero e io non potrei più guardare la mappa.

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